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Il petrolio del Turkana che potrebbe dare (ma non dà) benessere a chi moriva di fame

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Block 13T: come tutti i nomi in codice, nasconde molte più storie di quante ne lasci trasparire. La sigla è quella data dalla società di esplorazione canadese al nuovo giacimento di petrolio scovato in Kenya, nel Turkana.

Non un (futuro) pozzo qualsiasi: la “spillatura”, chiamiamola così, benché debba essere ancora valutata nei prossimi due mesi, già promette 320 milioni di barili. Un vero tesoro, insomma, che potrebbe portare benessere a tutti i turkana (foto), mezzo milione di persone che prendono il nome dalla regione, nel Nord-ovest del Kenya, accanto al lago omonimo (che nei vecchi sussidiari era indicato con il nome ottocentesco di Rodolfo, il principe ereditario d’Austria d’allora).

Una terra poverissima, che tra colonialismo e indipendenza ha sempre sofferto per fame, sete, assenza di infrastrutture, analfabetismo e malnutrizione infantile: basti solo ricordare che l’unica strada degna di questo nome che l’attraversi è la “transafricana” che va dal Cairo a Gaborone, in Sud Africa.

Ben poco ha ricevuto, il Turkana, dai governi anche recenti, ben poco si aspettavano i suoi abitanti (al 60% pastori) finché – nella ricerca spasmodica di nuove risorse – sono arrivati i trivellatori anglosassoni. Che non solo hanno trovano risorse idriche importanti e finora trascurate. Soprattutto, hanno trovato l’oro nero: e questo cambia tutto. Lo sanno bene altre regioni dell’Africa e dell’Asia, che improvvisamente si sono ritrovate per questo al centro degli interessi di tutto il mondo sviluppato, dagli Usa alla Cina.

Non vuol dire, però, che sia necessariamente una svolta: come ha più volte sostenuto l’editorialista del New York Times Thomas Friedman, il petrolio può essere piuttosto una maledizione, creando terreno perfetto per dittature e guerre (vedi Iraq).

Di certo, vi sono regioni, come il delta del Niger, che dimostrano come i giacimenti non si traducano in alcun modo in ricchezza per la popolazione che ci vive “sopra”: al contrario, è la prova di un legame diretto fra risorse naturali e conflitti armati. E ancor di più, fra la disponibilità di risorse “saccheggiabili” (come solo gli oleodotti delle società d’idrocarburi della Nigeria) e le insurrezioni.

Il punto è la redistribuzione – attraverso il lavoro, intanto – dei redditi che i giacimenti garantiscono: fra i turkani, il 75% ha oggi “tecnicamente” bisogno di aiuti. Fra pochi anni, qui, ogni rivolta sarà la prova che – ancora una volta – gli occidentali sono arrivati per depredare e basta. Speriamo di essere smentiti dai fatti, ma intanto, la popolazione del Turkana è scesa in strada a protestare: nessuno sta dando loro la “parte” che spetta di diritto a chi quella terra abita da sempre.


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